Il frequente richiamo alle tematiche del benessere, nella società odierna, non è altri che l'indicatore di un diffuso malessere sociale, che si riflette sempre più spesso su di noi, le donne. Appare inevitabile coinvolgere coloro che ci governano e che, in particolar modo, sono responsabili delle politiche sociali, la cui inefficienza ed ambiguità ricadono, appunto, sulle fasce socialmente più deboli. Senza cedere ad un facile pessimismo, vorrei porre l'attenzione su una delle forme più visibili di "incuria dei bisogni umani", di quei bisogni che le scienze antropologiche indicano come i fondamenti intorno a cui si costituiscono i gruppi umani: intorno alle necessità antropologiche degli individui umani ruota la possibilità stessa del costituirsi di una famiglia e quindi del formare una società.
Nel concetto antropologico di bisogno convergono, a mio modesto parere, le due principali istanze della modernità: etica e benessere. In una realtà sociale come quella odierna, dichiaratamente egoista, densa di ambiguità socio-politiche, consumistica, vige oggi il disinteresse per ciò che l'essere umano ha di più prezioso. Ritengo che questo sia il male da combattere: la "disattenzione" per la malattia e la sofferenza, intese, ovviamente, nel vasto panorama delle tipologie di bisogni disattesi.
Nonostante i progressi della ricerca medico-scientifica, ancora oggi gli uomini, ma soprattutto le donne ed i bambini, possono morire per la strada e negli ospedali. Cosa sia la salute, è tematica ampiamente dibattuta ogni giorno, ma molto spesso l'esito dei dibattiti rivela una considerazione dell'uomo (e della donna) in termini strumentali, ovvero di un mezzo, anziché di un fine. Definire cosa sia la salute, e cosa comporti la sua mancanza, è un obiettivo senza il quale altri valori sembrano venire meno: Salute vuol dire rispetto, tutela dell'integrità fisica e psicologica della persona. Ritengo sia questo il vero obiettivo verso il quale tutti dobbiamo prodigarci nel miglior modo possibile: la salute e l'integrità dell'essere umano; soggetto e predicato sempre più mistificati ai nostri giorni.
Il concetto di "benessere", come sappiamo, non riguarda solo le condizioni strettamente fisiche della persona, ma soprattutto quelle mentali ed emotive, cioè la condizione psicofisica di ogni uomo e di ogni donna, affinchè questi si possa dire "effettivamente esistente", dotato di abilità ed intelligenza, consapevole di essere parte integrante di un contesto socio-affettivo che lo accoglie, che in ogni aspetto si prende cura di lui. La considerazione dell'integrità, che ogni essere umano ha diritto di possedere e di mantenere, si fa molto più delicata, concettualmente, nelle fasi principali dell'età evolutiva, la quale, più di ogni altra, necessita del supporto di persone sane, siano esse singoli individui, tutori di varia natura e funzione, medici, o fatidiche agenzie educative. Purchè questi non rimangano soltanto vuote definizioni. Cosa necessiti alla persona per vivere degnamente il proprio stato di salute, dobbiamo comprenderlo noi tutti; ma, in particolar modo, lo deve praticare chi, per il suo ruolo sociale, familiare, per la sua natura o per la professione che svolge, si prende carico di altre persone. Indubbiamente questo è un impegno non facile: ma i meccanismi sociali hanno una propria deontologia: la quale si impone attraverso tali sistemi, in virtù della loro particolare funzione e della loro stessa efficacia, inducendo ogni referente, di qualunque grado, ad assumersi le responsabilità inerenti al proprio ruolo ed alla funzione che svolge all'interno di tali strutture e servizi.
Ognuno di noi si affida a qualcuno, sia esso un genitore, un medico, un confessore, cercando la cura a qualcosa che lo fa stare male, e spesso la mancanza di una risposta adeguata al bisogno avviene proprio là dove i rapporti sociali sembrano farsi, apparentemente, più diretti, improntati ad autentica familiarità, richiedenti solidarietà ed approccio umano. Non possiamo trascurare che esiste un apparato di tipo istituzionale, ovunque ramificato nei suoi vari ambiti e gerarchie, fatto di specialisti, che vengono retribuiti per il loro lavoro, sul cui metodo possono riferire solo altrettanti esperti, ma sul cui "approccio al paziente" chiunque di noi avrebbe almeno qualcosa da dire. Recenti normative, anche in ambito sanitario, hanno cambiato la modalità e la definizione degli approcci, sia relazionali (U.r.p.), che terapeutici (Sale degenza) ma non la loro sostanza, spesso molto carente di umanità. Il paziente viene di volta in volta definito con un nome, un numero, una sindrome: sono stati avviati dibattiti interminabili sul fatto che si debba chiamarlo paziente, cliente, utente, senza curarsi del vero problema, che consiste nel chiedersi come egli si senta, e soprattutto che cosa si senta di essere, in una società che dà così poco spazio ai bisogni umani, ovvero alle necessità esistenziali dell'essere umano.