L’ IDE-AZIONE
ANTROPOLOGICA
Un nuovo Paradigma Antropologico da declinare nei Laboratori delle Humanities
di
Milena Manili
Indice
e Bibliografia a margine
1. Contrastare la deriva antropologica
Tra natura e cultura
Percepire la propria condizione psico-fisica è un atto di libertà, di evoluzione cosciente, da parte dell’essere umano
La
conoscenza della “condizione umana” parte sempre da definizioni sensate e
pertinenti, perché gli umani sono dotati di parole e le parole trasportano un
mondo di significati, e questi a loro volta rafforzano la nostra capacità di
essere umani, viventi e senzienti, capaci di attribuire un senso alle proprie
vicende, o di trovarne uno quando queste non corrispondono alle proprie
aspettative. Ci si osserva con gli occhi, ma anche con le orecchie e con tutti
gli altri sensi. Percepire la propria condizione psico-fisica è un atto di
libertà, di evoluzione cosciente, in quanto permette all’essere umano di riconoscere
i propri veri bisogni, di assimilarli ad un patrimonio simbolico collettivo e
soprattutto di esprimerli, o, come direbbe un Antropologo, di vedere
rispecchiata negli altri la parte ancestrale del Sé, ravvisandola nelle
situazioni attuali e nelle loro ripercussioni soggettive. Nella quotidianità
dei gruppi umani, in genere, le “reazioni di senso comune” ad un disastro
ambientale accolgono forme-pensiero rassicuranti, della serie “tanto siamo
tutti nella stessa barca”, le quali rischiano di protrarre quella “fase di
rassegnazione” in cui le iniziative soggettive “ristagnano in un limbo
emozionale” e, di conseguenza, precludono il passaggio ad una “fase elaborata” ed
ulteriore del trauma, ad esempio attraverso le modalità rituali (riti di
passaggio, di compensazione, di sublimazione) eventualmente desunte da una
Antropologia dell’Esperienza.
Un’opportuna
inter-mediazione
Quando
l’identità sociale dei membri di una comunità viene minacciata da eventi
dannosi, imprevisti, sui diversi piani della propria esistenza, la mediazione
di uno o più esperti può contribuire a ripristinare la loro “integrità” raccogliendone
le storie ed i frammenti di vita, attivando il “rispecchiamento empatico”. Ogni
Antropologo sa che “osservare” non basta: bisogna trasformare l’osservazione
partecipativa in una relazione efficace, assumersi responsabilità, aggirare una
serie infinita di vincoli oggettivi e stranianti: vincoli che, da un lato,
mortificano le professionalità interessate (relegandole ad un ruolo puramente intellettuale
o socialmente subalterno); dall’altro, in veste burocratica, vanificano le
risorse di una umanità già depredata e sofferente.
Una
domanda ed una ricerca di senso
Come
può un Antropologo intervenire socialmente a contrastare un atteggiamento statico,
rassegnato, a mobilitare le proprie risorse umane (e quelle altrui) nelle
diverse prospettive possibili? Dal mio punto di vista, egli dovrà imparare a
contestualizzare le proprie idee, attraverso delle scelte di metodo, farle
fluire nelle esperienze di vita vissuta, proprie ed altrui, innestarvi dei Laboratori
permanenti di una Umanità restituita a sé stessa.
Appare
inevitabile che il dominio della Cultura, oltre che attraverso i Linguaggi,
passi per le tortuose vie della politica: ma se quella che ho appena delineato
non è anche una scelta politica, allora, cos’è?
La
capacità di realizzare delle scelte adeguate dipende da una relazione
costruttiva tra le Scienze Umane (e Neuroscienze), le Stratificazioni sociali, le
Rappresentanze della politica e del welfare: ammesso che tutti i Partners si
pronuncino a favore di un inserimento del ruolo progettuale ed operativo degli Antropologi
nella “Ri-costruzione di una futura dimensione sociale”.
D’altro
canto, l’Antropologo è soggetto ed oggetto a sé stesso; la sua funzione
consiste nel non restare un intellettuale, bensì spaziare, rendersi umano “con”
e “per” i propri simili, costruire e decostruire categorie relativistiche, del
pensiero e dell’azione, confrontarsi e rimodulare le proprie convinzioni.
Ogni
antropologo sa che la comune attitudine all’uso dei linguaggi e delle
espressioni simboliche è la vera chiave di accesso dell’uomo ai propri bisogni
materiali, a quelli immateriali, e forse anche a quelli spirituali. E’
superfluo rilevare che nella società globale la classica, ben nota, “Piramide
dei bisogni” di Maslow appare dissestata, che mai come ora sembra porsi in
primo piano il bisogno di ri-conoscersi attraverso gli altri e di ricostruire
la propria Umanità inter-soggettiva. Non ci sono verità né certezze, bensì risorse
umane da valorizzare.
Il
recupero di un Paradigma antropologico della Persona umana e della sua struttura
costitutiva è, a mio parere, ma anche secondo la mia personale esperienza,
l’unico che possa contrastare la deriva antropologica già preannunciata, e
visibilmente precipitata a seguito della pandemia da coronavirus.
Occorre
il Counseling Antropologico nei tavoli degli esperti, dei decisori politici, delle
Comunità e delle Istituzioni.
2. La crisi esistenziale contemporanea è aggravata
dall’emergenza Socio-sanitaria
L'emergenza socio-sanitaria attuale ci mostra che, quando il simbolico si traveste da senso comune, può e deve essere “smascherato”.
La
tesi dello “smascheramento” esprime la necessità che le Scienze Antropologiche
riaffermino la propria originaria funzione ermeneutica[1], restituendo dignità a sé
stesse e, nella complementarietà, a tutte le Scienze dell’Uomo.
La
tesi dello “smascheramento” propone un disincanto a beneficio di chi, pur
soffrendo, è disposto a riconoscere le verità nascoste dalla “banalità del
quotidiano”, (dall’uso indiscriminato dei Format, a quello dei Social e delle
Fake news), evitando di ricadere nei “luoghi comuni” che ne limitano la
responsabilità individuale. I luoghi comuni, presi in superficie e non
approfonditi, cedono spazio alle troppe “provvidenze” calate dall’alto e mai contestualizzate;
mentre un sano approccio antropologico permette anche all’uomo comune di
ricondurre il proprio pensiero ad un “patrimonio collettivo di simboli” che possa
restituire significato al proprio agire, trasformando quelli che appaiono come
dei limiti oggettivi in “opportunità soggettive di superamento degli ostacoli”.
La
tesi dello “smascheramento” propone un “disvelamento delle necessità
antropologiche” che la presunta civilizzazione ha soffocato, necessità tra cui
sembra emergere quella di un re-investimento globale di tutte le risorse umane,
reintegrate a sé stesse, nella realtà fattuale. La necessità di una riflessione
Antropologica efficace diventa dunque un’emergenza, quando il “retaggio
simbolico” degli eventi viene mistificato dal senso comune.
3. Il simbolico e l’immaginario sono all’origine della
percezione sociale degli eventi.
Quando,
come si diceva, il retaggio simbolico degli eventi viene mistificato dal senso
comune, inevitabilmente ciò dà luogo a soluzioni omologanti, semplificate, rispetto
ad un problema che invece è assai più complesso. E’ ciò che avviene quando
anche l’uso dei semplici mezzi di prevenzione alimenta il senso comune delle
“retoriche dell’inutilità”: mascherine e guanti sarebbero solo un’ingannevole
imposizione pseudo-politica ai tempi del Covid-19 [2]. Una norma come quella
descritta nell’articolo, citato in nota, sulla percezione del rischio, traduce
un genere di prescrizioni “a tutela della collettività” le quali tuttavia, accumulandosi
ad altre informazioni, ognuna delle quali implica una normativa nel proprio
ambito, possono creare confusione nella percezione soggettiva delle stesse: da
un lato, sfasando i comportamenti abituali della collettività, che preferirà cederà
ad un livello di omologazione sempre più basso; dall’altro, rendendo pressochè
inefficaci le strategie delle maestranze cointeressate. Alla luce di questa
riflessione, ritengo che si renda necessario il riferimento ad un nuovo Paradigma
antropologico che, attraverso una sistematica “ricognizione” di ogni caso, contestualmente
alle diverse realtà territoriali, possa ricondurre il vissuto di individui e
gruppi umani nella propria originaria “sfera di significazione”.
Gli
Archètipi, depositati nelle zone d’ombra di individui e gruppi umani colpiti
dalle avversità, possono, con l’aiuto degli Antropologi ed affini, alimentare le
dinamiche della Resilienza[3].
In
sintesi, il lavoro degli Antropologi dovrà essere in grado di trasformare il metodo
delle “esperienze sul campo” in una riorganizzazione del proprio “campo di
esperienze”; sceverarlo dalle opinioni di senso comune, disinformate, disilluse
dalla politica e diffidenti verso i tecnicismi dilaganti, spesso legittimati solo
da manie di protagonismo. A mio modesto parere, persino l’efficienza fine a sé
stessa, competitiva e privata dei “saperi fondamentali” rischia, allo stesso
modo della banalità di molte “misure preventive”, di porgere un cattivo termine di paragone per le discipline
Antropologiche, relegandole ad un ruolo (ausiliario, folklorico, etnografico)
non scientifico, volutamente negando ad esse la portata epistemologica di
fondo, che consiste nel saper attingere alla natura culturale dell’umanità, e
nel favorire un approccio alla salute umana di indubbia portata olistica e
terapeutica[4].
Spesso
si dimentica che l’Antropologia è, fra le Scienze, la principale interprete della
struttura costitutiva della persona umana e dei suoi Sistemi di simbolizzazione.
Per ciò stesso, gli antropologi sarebbero i depositari di utili metodologie di
approccio alle diverse aree del sociale, della salute e degli interventi per
essi predisposti. Sarebbe però necessario, a mio parere, adottare un impianto
analitico che travalichi i “compartimenti stagni” tra le Scienze Socio-Umane,
atto a valorizzare l’utilizzo dei Saperi Antropologici e delle competenze D.E.A.,
attraverso un piano di interventi, che possa essere, eventualmente, convogliato
e negoziato all’interno dei Comitati degli esperti, dei Decisori politici, dei
Centri di Ricerca, dei Responsabili di Comunità, attualmente preposti alla
risoluzione delle problematiche socio-sanitarie emergenti. L’aspetto
sperimentale della presente IDE-AZIONE consiste nella produzione di Laboratori delle
Humanities.
In
base ad esperienze personali, effettuate presso Enti pubblici e privati
nell’arco di un trentennio, in una provincia del Sud Italia, ho elaborato
alcuni strumenti che, pur provenendo da diverse discipline, vanno a potenziare la
capacità umana di essere resilienti nei confronti di situazioni relazionali che
si sono deteriorate: rapporti affettivo-emotivi in famiglia e a scuola;
interferenze nelle dinamiche dei gruppi e delle Comunità.
La
prospettiva antropologica è la sola che, pur non disdegnando la realtà sociale
degli eventi, può risalire all’origine di quelli che sono i bisogni umani più
disattesi e dei loro simulacri. Una abitudinaria “condivisione di senso comune”
può ammortizzare tali bisogni, ma non riuscirò ad elaborarli in modo specifico,
senza l’attivazione dei necessari rituali. Le discipline antropologiche offrono
invece un approccio ermeneutico e simbolico che può, in molti casi, restituire
il senso originario degli eventi, rapportandoli ai bisogni umani,
“attualizzandoli” incidendo sulla presa in carico degli stati di
disorientamento e di sofferenza nell’ambito delle famiglie e delle
collettività.
I
Laboratori delle Humanities si propongono come strumenti socio-antropologici, rispetto
ad altri provvedimenti governativi “di settore” (sanitari, economici,
tecnologici) che vengono adottati per colmare la transizione ad una realtà
sociale “normalizzata”. Le Scienze Umane, particolarmente quelle
antropologiche, guardano da un diversa prospettiva gli effetti del “confinamento
sociale” dovuto alla pandemia mondiale. Quest’ultima ha introdotto, sul piano
nazionale, una surrettizia “interferenza sociale” nella fruizione dei codici ermeneutici
della natura umana e del rapporto natura-cultura, provocando una inevitabile corto
circuito tra “parola-immagine-relazione comunicativa”.
G. Bateson
sosteneva che ogni relazione interpersonale si auto-regola in base al flusso
della comunicazione e della sua sfera di significazione. “La mente è la mappa;
la realtà è il territorio”.
4. Per un nuovo Paradigma socio-antropologico
Il
Counseling Antropologico nei tavoli degli esperti, dei decisori politici, delle
Istituzioni.
Riprogettare
la propria vita – Prendersi cura delle Relazioni Umane – La Relazione che cura
Come
ebbe a dire il sociologo Pier Luigi Celli, “Una visione che non trascina
all’azione è solo un’allucinazione”.
L’idea
significativa non è solo un principio, ma uno strumento. L’idea deve farsi, da
pensiero, linguaggio e, da linguaggio, movente dell’agire sociale. Oggi più che
mai, un piano ideale è qualcosa che muove dalla testa (logica) e si condensa
nel cuore (passione) maneggiando strumenti propri.
Il
sapere umano non deve “disperdersi” dopo gli studi universitari, ma deve saper
“sperimentare” situazioni organizzative, rapporti sociali interpersonali e di
gruppo, conflitti, responsabilità, diversità e contrarietà di ogni genere. Il
sapere coinvolge la persona rendendola produttiva, mette in moto un pensiero
logico, caricandolo di intelligenza emotiva. Il sapere antropologico non può
che essere trasposto nella concretezza della vita e dei problemi da risolvere,
nella realizzazione di una progettualità creativa e propositiva, nella capacità
di attivare le opportune competenze, col favore delle dinamiche politiche,
sociali ed esistenziali. Come accennavo in precedenza, a mio parere la tecnicizzazione
basata sulle sole competenze tecniche e privata della curiosità sapienziale,
tende ad isterilire il sapere. E’ anche vero che la sapienza in materia
richiede di apprendere sul campo la capacità teorico-pratiche di gestione delle
situazioni reali, alla luce di una rinnovata intelligenza fattiva.
Secondo l’antropologo Arnold Gehlen l’uomo è un essere culturale,
piuttosto che razionale. Non è la ragione, in senso stretto, che lo distingue
dall’animale; nei confronti di esso, l’uomo è un essere biologicamente carente
e non definito; tuttavia assume posizioni e compiti sia verso l’interno che verso
l’esterno. Egli delinea un singolare “Homo faber” predisposto a trasformare
l’ambiente naturale in un mondo culturale. L’estensività della sua capacità di
azione trasformativa condensa in certi luoghi il nesso del somatico e dello
psichico.
5. Aree di applicazione
Antropologia
filosofica. Antropologia Culturale, Antropologia Socio-culturale, Antropologia
Medica, Discipline Demo-Etno-Antropologiche, Etnologia ed Etnostoria.
OBIETTIVO
PRINCIPALE: Contribuire a porre rimedio al disagio post-umanistico - aggravato
dalla diffusione della pandemia da coronavirus - che rischia di assumere il
carattere di una psicosi collettiva. Fornire un contributo antropologico nei
contesti relazionali in fase di ricongiungimento, ripristino socio-affettivo o
parentale, toccati dal disagio.
OBIETTIVO
DERIVATO: Uscire dal problema, ricollegandolo a categorie universali
archetipiche attraverso “reti di comunicazione” e “campi di esperienza”
(famigliari e gruppali) dove l’Antropologo o l’Esperto di Scienze socio-umane e
D.E.A. aiuti persone e gruppi a comprendere i riferimenti simbolici collettivi
(archetipici) cui si ricollega la loro condizione esistenziale, dove il
medesimo, in qualità di facilitatore, aiuti persone e gruppi ad entrare in
sintonia, per confrontare le proprie pur diverse percezioni di una comune
situazione problematica, in rapporto alle proprie visioni del mondo.
6. La Cultura nelle sue declinazioni sociali
La Cultura è una categoria antropologica pregnante, suscettibile di interpretazioni e ri-modulazioni evolutive in seno alla società. Essa si identifica nel complesso dei valori e delle rappresentazioni, in virtù dei quali una determinata realtà sociale viene percepita e strutturata simbolicamente dall’insieme dei suoi membri, rendendosi significativa per coloro che ne fanno parte.
Il linguaggio ne è il principale strumento. Il linguaggio, sotto qualunque
forma espressiva e comunicativa, spinge l’essere umano ad incontrarsi e scontrarsi
col proprio inconscio, con le paure e gli istinti che collegano l’individuo a
stati d’animo archetìpici, in cui le emozioni primigenie (come la paura, il
senso della minaccia incombente, la rabbia verso gli uomini o gli dei, il capro
espiatorio), formano dei “nodi esistenziali” che difficilmente passano per la coscienza,
ed altrettanto difficilmente trovano il mezzo di comunicazione più adatto per
poterli sciogliere.
Saper comunicare, ancorpiù che essere una forma di adattamento, è un
vantaggio sociale, perché collega la coscienza individuale a quella collettiva,
nel rispetto della natura antropologica dell’uomo, che tende a reiterare
modelli sedimentati nella storia evolutiva degli esseri umani, permettendo loro
di superare l’ineluttabilità del destino.
La funzione dell’Antropologo è quella di farsi interprete dei linguaggi
umani, non solo nel senso della lingua parlata, ma nel senso ermeneutico,
occupandosi della interpretazione dei linguaggi comunicativi e della
restituzione di significati necessari a colmare uno stato di solitudine, di
disagio o di sofferenza. La parte più impegnativa sarà quella di calare nella
storia presente il proprio sapere antropologico, ricorrendo a strumenti
narrativi di diversa portata ed efficacia, anche terapeutica.
E’ altresì necessario che l’Antropologo possa attivare reti di
comunicazione alla portata di tutti, aiutando le persone, anche quelle
culturalmente più diverse, a mettersi in relazione tra loro ed integrare il
proprio pathos entro la dimensione delle universali esperienze, che offre nuovi
spazi all’introversione soggettiva (rievocazione cruda), aprendo la coscienza a
più valide esperienze di chiarificazione e di immedesimazione, (evocazione ri-elaborata).
L’Antropologo che segua un approccio ermeneutico, tende ad attribuire ad
ogni cultura un valore corrispondente a quello di un “testo” da leggere,
interpretare e reinterpretare, con grande attenzione per la relatività dei
punti di vista, che rappresenta una questione ricorrente per tutte le scienze,
sia quelle che utilizzano un metodo comparativo che quelle di tipo euristico: ad
esempio, la psicologia ricorre spesso a categorie etno-antropologiche come
quella di razza, nello studio degli stereotipi, permettendo al ricercatore di
studiare sia l’aspetto prettamente scientifico che quello analogico.
L’antropologo Clifford Geertz
si rese perfettamente conto della distinzione che esiste tra la cultura
(vissuta) e il testo (scritto), questione che va affrontata badando alla
“qualità” della scrittura etnografica e di qualunque altro tipo di rilevazione.
Alla stregua di un Testo in via di rielaborazione, la cultura di un Paese
può essere riletta e reinterpretata nella reciprocità dei linguaggi, nella
plasticità delle relazioni umane, alla luce di modelli culturali risvegliati e resi
tuttavia dinamici dalla diversità e da ogni forma di acculturazione.
7.
La natura delle formazioni
sociali
Il mondo delle idee, parte integrante di ogni cultura, viene
costruito nel corso delle nostre interazioni quotidiane, dei linguaggi
utilizzati e dei meccanismi mentali attraverso cui impariamo a dare forma al
reale.
Le relazioni umane si sono formate e distribuite nella storia non
solo in base a rapporti di consanguineità o di parentela, ma anche in base ad
interazioni spontanee, sorte nei raggruppamenti umani che, nel corso della
storia, siano risultati vantaggiosi, per i più diversi scopi. Le relazioni
umane sono i veri canali attraverso cui transitano i rapporti collaborativi e
quelli affettivi, gli egocentrismi, le rivalità, le insofferenze, le
rivoluzioni. Tali rapporti sono solo alcuni degli “archètipi relazionali” della
nostra specie. Molti di essi sembrano dissolversi nella transizione tra l’epoca
postmoderna e la web society. In un modo alternativo a quello della sociologia,
che si occupa dei Gruppi come dati di fatto socialmente condizionati,
l’antropologia è principalmente vocata ad interpretare la natura delle
formazioni che compongono i sistemi sociali, la loro derivazione, cioè la
tipologia delle relazioni umane che ne costituiscono il nucleo fondativo.
Nelle identità collettive si collocano gli archetipi culturali
che le hanno generate; nelle personalità soggettive si colloca il modo di
essere degli incroci relazionali che le compongono.
Le principali tipologie di gruppi (Famiglia, Classe, Comunità)
tendono a perpetuare le proprie connotazioni, in base ad un principio di campo
che governa la loro struttura orientativa, almeno finchè uno squilibrio interno
non ne cambi la connotazione. Coloro che affiancano tali strutture dovranno dunque
avere competenze e capacità per poter mantener le fila sotto l’aspetto
logistico, con un costante richiamo agli
archètipi emozionali[5].
Le principali tipologie di gruppi si tengono coese in
base alle proprie dinamiche interne, basate sulla comunicazione (più o meno
efficace). Una volta assodate le condizioni esterne alla sopravvivenza del
gruppo, possiamo osservare che la comunicazione al suo interno, pur dotata di
una forma significante e di un contenuto, ha bisogno di una sostanza che
alimenti la vita del gruppo stesso, mantenendone per quanto possibile le
caratteristiche costitutive. Questa sostanza costituisce sia il legame che il
pensiero di questo legame; essa non può che esprimersi attraverso l’espressione
verbale, narrativa, o artistica, per potersi rappresentare.
8. Progettualità per i Laboratori di Humanities: Le possibili funzioni degli Antropologi e degli esperti nelle D.E.A. in merito alla Antropologia interpretativa ed ai Metodi di Comunicazione.
Allegata Bibliografia essenziale.
A)
ANTROPOLOGIA INTERPRETATIVA e COMUNICAZIONE:
Il Welfare che parte dal campo di esperienza
Il “Pensare per storie, che obbedisce ad un’istanza biologica, in quanto fondato sul processo metaforico, costituisce un processo comune alla storia umana e alla storia naturale”. (G. Bateson, 1984)
Il
benessere della persona inizia dalla possibilità di esprimere i propri bisogni.
Il
benessere sociale si promuove nella ricerca di un terreno comune per superare i
propri limiti spazio-temporali nella condivisione
Il
benessere cognitivo si può conquistare con l’apprendimento di strategie del pensiero
narrativo:
Narratività ed Autobiografia[P1]
I
Laboratori basati sulla narrazione di Sé e della propria storia, sullo sviluppo
dell’autostima, sulla Resilienza, elaborano un costrutto simbolico per la
gestione delle emozioni, il contenimento delle frustrazioni e dell’aggressività
e, talora, dello scompenso post-traumatico, svolgendo una funzione compensativa
e terapeutica.
Gli spazi della Narratività: un costrutto semiotico
Gli spazi dell’Auto-biografia: un costrutto ermeneutico[6].
Gli spazi dell’espressività artistica: un costrutto simbolico e terapeutico.
Espressione
artistica ed Arte-terapia: un costrutto simbolico-relazionale funzionale al
“prendersi cura della persona”
B)
LABORATORI dell’ IDE-AZIONE:
Formazione di Gruppi. Fondazione,
Individuazione e conduzione delle Personalità Collettive
(Famiglia, Scuola,
Comunità Educante, Piccoli Gruppi, Personalità collettive di gruppo e Comunità
terapeutiche)[7].
FAMIGLIA
I
Laboratori di Famiglia. Per facilitare l’espressione dei bisogni.
Per
essere in grado di riconoscere i propri bisogni, nella scala dai primari ai relazionali
avanzati.
E’
altrettanto necessario rieducare il corpo, affinchè esso non sia solo un mezzo
di trasporto per portarsi da qualche parte, ma anche una dimora spirituale, un
centro di rinnovata sensibilità percettiva, un veicolo di emozioni.
SCUOLA
e COMUNITA’ EDUCANTE
II
Laboratorio del Gruppo classe. Per favorire il recupero dei ritmi e degli
apprendimenti nella continuità didattica di riferimento.
E’
importante incentivare la didattica in rete per fornire ulteriori materiali e
strumenti alla lezione in presenza.
Utilizzo
dei Documentari nelle Scienze Umane e Demo-Etno-antropologiche
COMUNITA’
– STRUTTURE DELLE PERSONALITA’ COLLETTIVE – COMUNITA’TERAPEUTICHE
II
Laboratorio di Comunità è un Laboratorio di creatività:
come
strumento di interazione affettiva ed empatica.
come
strumento di integrazione inter-culturale. [8]
come
strumento di elaborazione dei conflitti
come
strumento per rafforzare le identità
Linguaggi
verbali:
Narratività
- Storytelling - Autobiografia - Testimonianze - Documentari -Testi metaforici
e Parabole
Linguaggi
dell’immagine:
Rappresentazione rituale. Performance. Espressione artistica. L’inconscio collettivo collega il singolo alla storia dell’umanità, portando il soggetto ad individuarsi attraverso esperienze artistiche (L’esecuzione dei mandala è una di queste).
C)
Work
in Progress. Quanto si è detto presume ed appoggia una essenziale ma necessaria
inter-disciplinarietà, professionale e culturale.
[1] L'ermeneutica in chiave fenomenologica si presenta nel pensiero di Edmund Husserl che criticando ogni oggettivismo e naturalismo evidenzia «il carattere intenzionale della coscienza, per cui ogni percezione è sempre legata a un orizzonte entro il quale soltanto diventa significante e il giudizio rinvia a tutta una serie di presupposti "precategoriali".(wikipedia.org)
[2] Elisabetta Dall’O – Lo sguardo dell’antropologia tra percezione del rischio e comunicazione
[3] Dal
punto di vista del Counseling Antropologico la Resilienza è un processo di
ri-adattamento positivo in risposta ad una avversità significativa, in cui il
soggetto acquista flessibilità emotiva, imparando ad utilizzare in modo
dinamico le risorse difensivo-propulsive di cui dispone: personali, famigliari,
relazionali, ambientali.
[4] Antropologia della
salute. (parte 4) “Sul terreno antropologico si
dibatte lo studio dello Stile di vita, della sua rappresentazione delle
condizioni di salute, calamità, malessere e malattia, del rapporto
interpersonale medico-paziente, delle nuove sfere di significazione del reale
nate dall'incontro terapeutico. In Antropologia è emerso in primo piano il tema
della “incorporazione” delle specificità ambientali e relazionali: punto di
osservazione e di ricerca etnografica non trascurabile, in quanto dimostra che,
sia dal punto di vista culturale (cioè in base ad abitudini sociali, a forme di
educazione famigliare e gruppale) che dal punto di vista scientifico (delle
Medicine), il malessere fisico ed il disagio psicologico si ripercuotono in
misura rilevabile sul sistema unitario della salute (psico-fisica) dell’uomo”.
[5] Teoria afferente alla Scuola di Counseling Relazionale Integrato “PREPOS” Tabelle
dei Gruppi.(Orientamento, Movente, Approccio Counselor) ai quali, in tempi
recenti, ho avuto modo di integrare alcuni Archetipi emozionali: Paura,
Eroismo, Disorientamento, Magia, Ribellione.
[6]
Teoria
afferente alla Scuola di Counseling Relazionale Integrato “PREPOS” Laboratori
di Scrittura Autobiografica (Prof. Mantegna C.)
[7] Teoria afferente alla Scuola di Counseling Relazionale Integrato Prepos del Prof. V. Masini.
[8]
Guardare gli altri per tornare a se stessi
L’educazione
ìnterculturale, fattasi attenzione per le risorse umane, non solo ci guida
attraverso la rilettura di tradizioni, di voci e intrecci di voci, di felicità
e tragedie, di leggende e avventure presidiate da divinità scomparse o da
ancestrali, le paure riemergenti (invasioni, epidemie, sbarchi, ecc.), essa ci
introduce ad una comprensione più profonda di quelle che sono le nostre
origini. Ci stimola a rintracciare nelle psicologie di ciascuno di noi, così profondamente
mediterranee, anche laddove alcune nostre regioni non ne lambiscano le sponde,
la parte migliore di una tradizione di pensiero costruitasi nel corso del
tempo. (Duccio Demetrio, Lavoro interculturale e narrazione)
[P1]O